
Cronaca di una stagione del cuore. Lontano dalle routine universali, è possibile ricomporre il disordine del tempo e delle parole. Sulle coste del Mar Giallo, in una città scelta a caso, si riannodano i fili della connessione tra Uomo e Natura.
di Luca Fidanza
Dalla finestra di un bar sperduto sul lungomare della città la vista si perde tra il vento e le onde del mare cinese. Non c’è niente da fare, mi dico a bassa voce. Stamattina non le vedrò. Mi rassegno nel silenzio. Ho gli arti tremolanti. Il tè del mattino è già freddo; il proprietario mi ha lasciato chiavi e responsabilità per una clientela che arriverà solo nel pomeriggio. Mio fratello ancora non è sceso, è al riparo dal gelo quotidiano. Bè, penso… non mi resta che continuare ad aspettare con pazienza. Un’attesa quasi al limite, prima che il sole finalmente si decida a illuminare la mente e la caligine. In realtà sono qui per un solo motivo: aspetto di vedere se le due donne di ieri, intraviste sulla spiaggia nascosta dalla foschia, riappaiano. Erano lontane, a un centinaio di metri da me… sì, più o meno; tra loro e me, solo questo puntualissimo vetro appannato. Le due donne indossavano tute da ginnastica rosse. Perfette, per contrastare il grigio dominante. Danzavano. Figure coreografiche già viste. Il movimento libero cinese. Davanti a loro si muovono soltanto le onde incostanti. Tutto intorno il silenzio. Ricordo un aereo che si allontanava, silenzioso anch’esso. Si dirigeva in direzione della Corea. Così ho immaginato.
Le ho pensate anziane, le due donne. Le ho delineate come sorelle, ma davvero non importa. Al centro del pensiero e della vista c’era quella scena in movimento, spesso intravista tra minime differenze in molta della pittura tradizionale da cui ero sempre stato affascinato, il Guohua (国画, guóhuà). Mi bastava, quella scena. Si era impressa dentro di me, malgrado la foschia. Era una scena che possedeva una calligrafia chiara e precisa, che alleviava i brividi di freddo, le attese e molte nostalgie. Mi ricordo di aver chiesto a mio fratello se facessero proprio Tai Ji, se non si gelassero. Per Fernando, che viveva in Cina da molti anni, quella era una visione abituale. Per me, al contrario, restava fonte di sorpresa e di domande.

Ora sono solo e non mi accorgo che il tempo sta passando. Penso a loro, aspettando che il quadro si riproponga chiaramente e con dolcezza. Mentre sto quasi perdendo la speranza, eccole finalmente arrivare. Sono proprio loro; hanno le tute rosse. Le vedo profilarsi a passi lenti tra il furore del vento costiero. Poi si fermano, dinanzi alla consueta mareggiata. Sta succedendo. Fisso lo sguardo per trattenere ogni minimo particolare. Il bar è ancora vuoto, muto. È il luogo d’osservazione perfetto da dove possa sentirmi una di quelle spie romantiche, concentrate sul quadro da indagare…ecco, cominciano: lontane da sguardi più o meno furtivi, distanti secoli dal caos del brulicare cittadino e dei suoi grattacieli stonati, quelle due figure vengono sferzate dal gelo che incombe. Eppure, sembrano non curarsene.

Accanto a loro, quasi affondando nella sabbia, emerge un vecchio stereo portatile anni ottanta che da qua, da dietro la finestra del bar, non si riesce a sentire che musica faccia. Anche qui…non importa. Conosco e ricordo molto bene quei motivi in apparenza uniformi, quel genere che non stanca e possiede la grazia di una generale e ricorrente armonia. Vien naturale comprendere come sia facile accompagnare le movenze e la lievità delle due danzatrici. Il tutto è effettivamente un’opera pittorica in movimento. Mi adopero affinché quella musica risalga e invada la mia immaginazione in questa mattina d’inverno nell’est, nel quasi nord della Cina che sto cominciando a conoscere e amare. Una mattina come tante altre, incastonata in una cornice, in questo poetico e scozzese lembo d’Oriente. Davanti a tutto, a me e al silenzio del paesaggio invernale, oltre l’orizzonte lattiginoso del mare in tempesta c’è la Corea, e dietro la Corea emergono le isole giapponesi. Il mare unisce e divide il mio sguardo fisso. Dietro, il nulla di un bar deserto che odora di passato. Intanto, l’orizzonte pallido, grigio e con un vago e leggero azzurrino senza confini, avanza nel mattino, punteggiando l’armonia del movimento dei fianchi e delle braccia di due donne sole e felici, su quel palcoscenico magnifico.
"Abbiamo scelto Weihai quasi a caso, come si fa sul mappamondo che gira veloce fino a essere stoppato su ciò che si vorrebbe fosse un nuovo inizio. "
Sono arrivato qui a Weihai, nella provincia dello Shandong, insieme a Fernando, nel gelido e indimenticabile dicembre del 2012. Weihai per me non è stata una città ‘minore’ di due milioni e mezzo di persone, come si scrive sui manuali turistici. E’ stata una spiaggia. Una di quelle che in base a motivi geografici e urbanistici, decidono saggiamente di lasciarsi alle spalle una compatta mole umana che opera nel più tipico e stretto concetto cinese di spazio vitale. Sebbene irrigidisca dal freddo, questo luogo sul mare, dalla vista sconfinata, gli spazi deserti e il suo rassicurante silenzio, mi affranca dallo stereotipo inevitabile sul caos cittadino, e da sterili opinioni esterne, sempre uguali a se stesse. Dopo Pechino, che ho amato profondamente per la sua estensione multicolore e che tengo ben stretta e protetta nel cuore per decine di altri motivi, io e Fernando abbiamo scelto Weihai quasi a caso, come si fa sul mappamondo che gira veloce fino a essere stoppato su ciò che si vorrebbe fosse un nuovo inizio.

A me, d’impatto, Weihai ha ricordato la Normandia. Il suo mare invernale tempestoso, quel grigio dalle molteplici sfumature, mi hanno riportato a un viaggio che feci in Francia tanti anni prima. La mia passione per la Storia mi aveva infatti condotto nel lontano 1989 sulle regioni francesi della costa atlantica, e in particolare sulle spiagge della Normandia, proprio quelle che avevano assistito allo sbarco degli Alleati del ’44 durante la Seconda Guerra Mondiale. E così, ammirando un’atmosfera evidentemente evocativa, a Weihai mi è sembrato di rivivere gli stessi colori, lo stesso silenzio solenne di quegli anni passati, con la differenza che adesso mi trovavo dall’altra parte del mondo, all’estremo est della Cina, estremamente lontano da tutto, tranne che da una Storia anche qui leggendaria ma completamente diversa dalle altre.

Arriviamo qui senza una particolare conoscenza geografica e storica. Quello che cerchiamo davvero è una Cina diversa da quella vissuta in precedenza a Pechino, fatta di cambiamenti istantanei, di cittadini adattati velocemente al futuro già in azione e integrato nella mente della popolazione. Pechino, dove abbiamo vissuto anni, è, come altre grandi città cinesi, l’avanguardia di quello che già in parte è la morfologia sociale e culturale del nuovo ordine mondiale. I cittadini fremono, le tradizioni sono protette ma schivate all’occorrenza. Il caos viene sostenuto da una forza di potere rocciosa e indulgente quanto basta. Si sente e si vede.
Qui a Weihai si possono notare certamente le forme di quanto detto, ma i giri del motore sono senza dubbio ancora bassi. Qui si scruta, si osserva e la tradizione la si può ancora avvertire nei gesti, spesso guardinghi, di una comunità che sente e guarda il mare e i suoi buoni consigli d’attesa; lo spazio del mondo si tocca e si cerca di viverlo fino in fondo.
Nel secondo episodio di questo 'romanzo a puntate', affronteremo "Il viaggio e le prime 'gelide' esperienze"...stay tuned!