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Leggere un libro in cinese: la cruda realtà di un'impresa difficile



Ansie e tribolazioni di un’avventura estenuante, ma che può offrire sudate soddisfazioni.

Di Mauro Marescialli.

 

Leggere un libro di narrativa in lingua cinese è un’impresa difficile e frustrante.

Le difficoltà sono legate all’intrinseca complessità della lingua e, in particolar modo, della lingua scritta la quale annovera migliaia e migliaia di caratteri da memorizzare. La frustrazione va invece ricondotta al fatto che la sintassi e il lessico utilizzati nella scrittura in prosa sono spesso tragicamente distanti da quelli del cinese parlato. A dimostrare la netta distinzione tra idioma parlato e scritto ci pensa la stessa lingua cinese che infatti utilizza due termini specifici per indicarne la differenza in modo spudoratamente chiaro e diretto: kǒuyǔ (口语, lett. linguaggio orale) per il cinese colloquiale, shūmiànyǔ (书面语, lett. linguaggio dei libri) per quello scritto.

Nonostante nel ventesimo secolo diversi movimenti culturali e letterari cinesi abbiano contribuito a diminuire in modo ragguardevole il divario esistente tra queste due dimensioni linguistiche, è innegabile che lo shūmiànyǔ sia ancora portatore di un’elevata ricercatezza, sofisticazione e, per certi versi, intellettualizzazione della forma espressiva scritta finendo per equivalere ad una dimensione linguistica formalmente superiore e parallela a quella colloquiale.

Tenendo a mente questo retroterra, un bel giorno dello scorso aprile ho finalmente deciso di affrontare la lettura di un libro di narrativa in cinese. Ovviamente l’ho presa come una sfida personale, tra me, il demone dello shumianyu e, indirettamente, con l’intera lingua cinese, idioma che ho studiato all’università e che parlo, leggo e scrivo tutti i giorni vivendo a Pechino da ormai più di 25 anni. In termini di comprensione, leggere e-mail e documenti di lavoro, seppur a volte complessi, non è comunque paragonabile all’asperità della letteratura in shumianyu succitata, soprattutto quando si è fuori allenamento.


"Ma la decisione era presa. Nella mia mente il guanto al perfido volto dello shumianyu era stato lanciato."

Infatti l’ultima volta che ho letto un testo in cinese da capo a fondo risale al 1996, periodo in cui stavo preparando la mia tesi di laurea sull’evoluzione del linguaggio pubblicitario in Cina. Inoltre, tale testo non era un opera di narrativa bensì un trattato di circa duecentocinquanta pagine sulla storia della pubblicità nel Paese di Mezzo. Durante questo intervallo durato 24 anni ho pensato bene di tenermi alla larga dalla lettura di un intero libro in cinese. Troppo lo sforzo, troppe le frustrazioni, troppo il tempo da spendere a cercare sul vocabolario e annotare a matita sulle pagine le centinaia di caratteri e parole a me ancora sconosciuti nonostante la mia più che decente familiarità con la lingua cinese.

Lo scrittore cinese Yu Hua (Alamy, SCMP)

Ma la decisione era presa. Nella mia mente il guanto al perfido volto dello shumianyu era stato lanciato. Ormai si trattava di una questione di ‘faccia’, di onore e, per dirla davvero tutta, di autostima. Il primo passo è consistito nella selezione del libro e ad essere sinceri ci ho messo poco a individuare l’autore. Di Yu Hua avevo già letto qualche anno addietro La Cina in 10 Parole nella versione in inglese. Mi era piaciuto assai sia per lo stile arguto e satirico che per i contenuti, di un certo peso e rilevanza in Cina, trattati in modo non convenzionale. Così una volta giunto in libreria quel giorno d’aprile mi sono diretto senza particolari esitazioni nella sezione contenente i suoi libri. Ben presto la scelta si è ristretta a Cronache di un Venditore di Sangue e Brothers, due tra le opere più famose di questo autore oltre a Vivere, libro da cui il regista Zhang Yimou ha tratto uno dei suoi film più celebrati.


Ebbene, scegliere quale libro portarmi a casa non è stato semplice per una ragione di fondo. Cronache constava di circa 160 pagine, Brothers ne aveva ben 670. Sono stato lì impalato con i due volumi in mano per almeno cinque minuti soppesando, in parte letteralmente, i vantaggi nel leggere l’uno o l’altro. Cronache è più corto, mi son detto, posso finirlo di certo prima di Brothers raggiungendo il mio scopo più in fretta, relativamente parlando, e soddisfare il mio ego e la rivincita sullo shumianyu in tempi più ragionevoli. D’altro canto pero’ la storia di Brothers mi pare più accattivante, ho riflettuto, e poi è considerata l’opera omnia di Yu Hua...vuoi mettere? A spuntarla alla fine è stato il libro che mi avrebbe dato modo di testare in modo più severo non solo il mio livello di comprensione di un’opera di narrativa di cinese moderna ma anche d'innalzare l’asticella della sfida con questa bestia chiamata shumianyu. A tornare a casa con me fu un bel mattone da più di 500mila caratteri chiamato Brothers.

Prima di entrare nei dettagli dell’esperienza della lettura è forse bene accennare alla trama del libro in questione. Brothers racconta la storia dei fratellastri Li Guangtou e Song Gang lungo un periodo di circa quarant’anni, dalla loro infanzia fino ai primi anni del 2000. Le innumerevoli vicende dei due protagonisti principali s’intrecciano con gli eventi e i cambiamenti cataclismici avvenuti in Cina dalla Rivoluzione Culturale in poi. Nati in povertà Li Guangtou e Song Gang finiscono per prendere strade diverse nella vita seppur sempre incentrata nel loro paese natio, la cittadina di Liu, situata nella zona costiera orientale della Cina. Intorno a loro, s’intrecciano e sviluppano le storie parallele di decine di altri compaesani che completano un canovaccio narrativo di dimensioni epiche. Stando a quanto dichiarato da Yu Hua le sue intenzioni originali erano quelle di scrivere un libro da non più di 100 mila caratteri, ma una volta iniziata l’opera è rimasto travolto dal vortice dei personaggi e dalle situazioni che stava creando finendo per aggiungere storie, protagonisti e una molteplicità di livelli narrativi.


"Tra i fumi dell'alcol mi raccontò della storia di due fratellastri che crescono tra gli orrori della Rivoluzione culturale."

Prima d’iniziare a sfogliare le pagine di Brothers avevo un’idea approssimativa della trama, rimasuglio di una breve conversazione intrattenuta anni addietro in un bar di Pechino con un amico americano che era rimasto alquanto impressionato dall’opera. Tra i fumi dell’alcol mi raccontò della storia di due fratellastri che crescono tra gli orrori della Rivoluzione Culturale, che si vogliono bene ma che sono molto diversi, litigano e si azzuffano spesso, e che s’innamorano della stessa donna. Questa conversazione, non so bene come visto che quella sera alzammo entrambi il gomito, mi è rimasta impressa ed è stata poi una delle ragioni che mi ha indotto a scegliere Brothers una volta giunto in libreria lo scorso aprile.

Denuncia e ludibrio pubblico: una pratica violenta diffusa durante la Rivoluzione Culturale.

Le premesse strategiche

Dopo essere tornato a casa ho tolto il cellophane e messo il libro appena acquistato in bella vista nella mia libreria del salotto. ‘Bella vista’ in questo caso significa in uno degli scaffali centrali, quasi ad altezza d’occhio e l’ho sistemato lì non per caso o per una mera questione di accessibilità, ma per rappresentare un vero e proprio monito a me stesso. Metterlo in quella posizione, che vedo chiaramente ogni giorno mentre mangio o passo da una stanza all’altra, aveva il preciso scopo di ricordarmi che quel tomo stava lì per essere letto e non per andare nel dimenticatoio come spesso accade per libri che uno compra con il chiaro intento di doverli leggere, perché vanno letti, ma poi finiscono convenientemente per scomparire nei meandri della libreria o di altri pertugi domestici (es. Infinite Jest).

Questo trucchetto idiota alla fine ha funzionato e a una settimana dall’acquisto, dopo qualche respiro profondo, una sera ho afferrato il libro dallo scaffale, mi sono sdraiato sul letto, ho acceso l’abat jour sul comodino, inforcato gli occhiali e ho iniziato a sfogliare le pagine di Brothers. La data me la sono annotata sull’agenda del telefonino: 10 aprile, 2020. Questo era un evento che valeva la pena ricordare e anche registrare in modo più o meno formale con una nota temporale, ancora una volta, indirizzata a me stesso: iniziato il viaggio non avrei potuto più voltarmi indietro, farmi abbattere dalla frustrazione o dallo sconforto o dalla vista che si annebbia, impigliata tra le centinaia di caratteri stampati su ogni pagina.


"L'unica licenza che mi sono concesso è stata quella di usare il vocabolario di tanto in tanto, per risolvere l'incomprensione di passaggi importanti della narrazione o per appagare la mia curiosità linguistica."

Volontà ferrea e buoni propositi a parte, nella mia mente avevo anche stipulato un principio guida che avrebbe rigidamente regolamentato la lettura dell’intera opera, ossia non sarei stato ad appuntarmi su ogni pagina del libro tutti i caratteri che non avrei riconosciuto, perché è ovvio che ce ne sarebbero stati tanti. Se da un lato questa è una pratica da raccomandare, soprattuto per chi è alle prime armi con il cinese, nel mio caso ho deciso di evitare per una ragione molto semplice, ovvero, tale pratica richiede tempo e, a seconda del livello di conoscenza della lingua scritta, di tempo ne può richiedere davvero parecchio. Cerca i caratteri sul vocabolario, poi scrivili diligentemente in cinese accompagnati da pronuncia e toni di fianco e ripeti questa manfrina per chissà quante parole. No, mi son detto, non se ne parla proprio. Ho convenientemente fatto pace con me stesso e sfidato la lingua scritta a brutto muso, con la speranza da un lato di riuscire a cogliere il senso del testo pur tralasciando parole non identificate e dall’altro di farmi coinvolgere il più possibile dalla lettura in sé, senza distrazioni. L’unica licenza che mi sono concesso è stata quella di usare il vocabolario (una app sul telefonino) di tanto in tanto, per risolvere l’incomprensione di passaggi importanti della narrazione o per appagare la mia curiosità linguistica.

Il Primo Impatto

Sdraiato a letto quella sera del 10 aprile dopo aver letto ben sei pagine, ossia circa 4000 caratteri, mi son detto, OK, per oggi basta così. Ho spento l’abat jour, ho rintuzzato il cuscino, chiuso gli occhi e cominciato a riflettere su quanto appena accaduto. Niente male. Di quelle sei pagine, lette in poco più di venticinque minuti (sì, le ho cronometrate), avevo capito circa l’80% di quanto scritto. Capire una tale percentuale, alta e del tutto inaspettata, non equivale necessariamente alla conoscenza di un’altrettanta percentuale di caratteri stampati su quelle sei pagine. Infatti di caratteri che non avevo riconosciuto ce n’erano stati eccome; tuttavia, averne compreso la maggioranza mi aveva aiutato a cogliere il senso generale del contenuto. In quanto al restante 20%, il non afferrarlo non aveva influenzato più di tanto la mia comprensione generale. Quindi, con mia grande sorpresa, il primo impatto con Brothers fu assai positivo se non per certi versi sorprendente. Ciò che mi stupì fu non solo la relativa scioltezza nella lettura causata dall’essere in grado di riconoscere molti caratteri ma, soprattutto, il fatto di aver iniziato a cogliere in quelle poche pagine la verve stilistica di Yu Hua che mi aveva tanto affascinato in La Cina in 10 Parole. Con la differenza che nel caso di Brothers tale verve l’avevo colta nel tono e nei caratteri della lingua originale, che è un’esperienza di tutt’altro tipo. Naturalmente, a frenare la mia fiammata d’eccitazione in modo abbastanza brusco ci pensò una considerazione tardiva. Sei pagine in circa 25 minuti…


Riaccesi l’abat jour, afferrai il telefonino e avviai la calcolatrice.

25 : 6 = 4,1 minuti a pagina.

Sul momento, questa tempistica mi sembrò passabile, ma per avere un riferimento agguantai un’altro libro in italiano dal comodino, lo aprii a caso e avviai il cronometro sul telefonino. Joseph Conrad, La Linea d’Ombra, pagina 25.

Finito di leggere fermai il tempo. 1 minuto e 15 secondi per una singola pagina. Riavviata la calcolatrice moltiplicai i 4,1 minuti che avevo impiegato per leggere le 6 pagine iniziali di Brothers per il totale delle pagine: 4,1 minuti x 670 pagine = 2,747 minuti

2,747 minuti : 60 = 45 ore circa…


Anche ammesso che fossi riuscito a leggere Brothers per un’ora al giorno, tutti i santi giorni, avrei finito il libro in 45 giorni. Con un certo disappunto ci misi poco a realizzare che un tale conteggio aveva ben poco di realistico. In condizioni normali, ovvero leggendo un libro in inglese o in italiano, il tempo che dedico quotidianamente alla lettura dipende da diversi fattori, primo fra tutti la stanchezza a fine giornata, considerato che nei giorni feriali leggo la maggior parte delle pagine prima di lasciarmi cadere tra le braccia di Morfeo. So quindi per certo che dedicare con costanza un’ora o più al giorno alla lettura di un libro è un’attività che si avvera solo durante i fine settimana. E i fatti, inevitabilmente, mi hanno dato ragione.

La cruda realtà

Il tragitto in taxi da casa fino al mio ufficio richiede in media 15 minuti. A differenza di molti individui, leggere in auto non mi causa problemi e al mattino, a patto che non debba leggere documenti di lavoro, sfoglio sempre un bel libro. Leggendo Brothers in taxi ho notato via via che la media aritmetica di pagine lette al minuto, originariamente calcolata per condizioni ambientali statiche, andava rivista al ribasso. Col passare dei giorni realizzai con un’ansia crescente che in quei 15 minuti non riuscivo a leggere più di una pagina e mezza. Allo stesso tempo, leggere sulla via del ritorno a casa non è sempre un’opzione valida. Svolgo un lavoro piuttosto stressante in un’agenzia di comunicazione e fare gli straordinari è una necessità pressoché scontata nel mio settore. Di conseguenza, alla sera quando stacco dal lavoro sono in genere bello cotto e aprire un libro in taxi è un’occorrenza alquanto rara.


"E una volta a letto, col libro aperto in mano, svuotato di energie mentali e fisiche mi sono spesso ritrovato a leggere una misera mezza pagina prima di cedere al sonno."

In generale affrontare la lettura in cinese dopo una lunga giornata in ufficio si è rivelata da subito un’impresa mentalmente assai probante e auto-convincermi ad aprire Brothers ha spesso richiesto uno sforzo e una disciplina eccezionali. E una volta a letto, col libro aperto in mano, svuotato di energie mentali e fisiche mi sono spesso ritrovato a leggere una misera mezza pagina prima di cedere al sonno. Non ci ho impiegato molto a comprendere che leggere letteratura in cinese richiedeva al sottoscritto un livello di calma, concentrazione e lucidità di un livello superiore. In pratica ciò ha significato che in molte occasioni ho dovuto rassegnarmi a leggere solo due o tre pagine al giorno.

Ma messi da parte i problemi linguistici, di stanchezza e di un ritmo di lettura altalenante, scorrendo le pagine emersero altri elementi che contribuirono a non farmi perdere la speranza o, ancor peggio, a mollare del tutto la lettura. Brothers è un libro avvincente. I personaggi vividi e le vicende briose, nella loro straordinaria spietatezza o nella frequente comicità, stavano via via delineando un universo narrativo in cui ben presto mi ritrovai del tutto immerso. Spinto da una curiosità genuina, nonostante le difficoltà, riuscii a tenere duro e ad andare avanti per scoprire cosa sarebbe successo ai due fratellastri e alla miriade degli altri protagonisti che gli giravano intorno.


Allo stesso tempo con il passare dei giorni iniziai a notare un costante miglioramento nella comprensione del testo dovuto a una crescente familiarità con le strutture sintattiche e il linguaggio usato da Yu Hua. Quanto appena descritto unito al fatto d’imparare qua e là qualche parola nuova erano tutti elementi che mi persuasero a tirar dritto, pur nelle difficoltà e nell’oggettiva impossibilità di leggere più pagine di quelle che finivano nello striminzito conteggio finale quotidiano.

Ripensando all’intero percorso di lettura, ritengo di aver avuto tre picchi di vera e propria crisi: a 1/3 e a 2/3 della lettura e nelle ultime 70 pagine.

Le prime due crisi hanno condiviso la stessa ragione di fondo, ovvero la coscienza di avere ancora centinaia di pagine da affrontare. E anche dopo aver raggiunto l’esatta metà del libro un tale evento non mi ha rallegrato affatto. Essere a metà dell’opera ai primi di giugno, ovvero a più di 50 giorni dall’inizio di questa impresa, psicologicamente non mi ha aiutato, anzi, per certi versi è stata ragione di sconforto e frustrazione a ulteriore conferma che le mie futili medie aritmetiche iniziali si erano andate a scontrare con la realtà di una lentezza oggettiva, seppur non del tutto inaspettata.

Poi, passata quota 600 pagine, è iniziato un vero e proprio calvario.


A dire il vero, da un punto di vista narrativo la storia ha perso parte della verve che aveva caratterizzato il resto del libro concentrandosi su eventi e alcuni personaggi con una dovizia di particolari che, a mio modesto parere, ho trovato superflua. Certo, è anche probabile che il mio giudizio sull’epilogo di Brothers sia stato stato influenzato dal desiderio, a quel punto ormai decisamente smisurato, di ultimare la lettura di questo dannato tomo. A una certo punto le pagine sembravano aver acquisito un peso sovrumano, i caratteri sconosciuti aumentare improvvisamente di numero, gli occhi perdersi tra le righe più di frequente costringendomi a ritornare riottosamente sui miei passi e ricominciare il paragrafo una, due o anche tre volte.

Fine del viaggio

Il 23 luglio del 2020, con la lettura della nota postuma scritta da Yu Hua a completamento dell’edizione da me acquistata, ho finalmente chiuso le pagine di Brothers per l’ultima volta.

Dal 10 aprile al 23 luglio erano trascorsi ben 106 giorni, per una media finale di lettura pari a circa 6.3 pagine al giorno. Ovviamente si tratta di una media bugiarda perché prende in considerazione i numeri assoluti. In realtà ci sono stati diversi giorni in cui non ho letto per niente, altri in cui ho letto due pagine e altri in cui ho fatto degli sprint da venti pagine e passa per recuperare il terreno perduto. Ad essere onesti c’è anche da chiarire che, senza dubbio, a tre quarti di quest’avventura la mia dimestichezza con la parola scritta è aumentata sensibilmente permettendomi così di avere una lettura più sciolta rispetto agli inizi, nei limiti concessi dal cinese, e quindi passare da un pagina all’altra con maggiore scorrevolezza.


#670: l'ultima pagina di Brothers

Ebbene, in buona sostanza quali sono le lezioni che ho appreso nell’aver conquistato questo K2 letterario?

La prima è che mi sono dato i giusti parametri all’inizio. Se nel corso della lettura mi fossi appuntato sulle pagine tutti i caratteri che non conoscevo ci avrei impiegato il doppio del tempo a concludere il libro e a un certo punto, con tutta probabilità, l’avrei abbandonato.

La seconda lezione, per fortuna rassicurante, è che dopo aver vissuto più di venticinque anni in Cina, anche non riconoscendo molti dei caratteri in Brothers, sono stato in grado non solo di leggere e comprendere la maggioranza della parola scritta ma anche di cogliere le sfumature della lingua e dello stile dell’autore.

La terza è che nonostante quanto appena scritto sopra, anche dopo aver vissuto più di venticinque anni in Cina, leggere un’opera di narrativa contemporanea cinese richiede sforzi innumerevoli, costanza e tanta disciplina: insomma, è un’impresa ostica, soprattutto per chi come me non è abituato a leggere narrativa cinese in lingua originale.

La quarta lezione, inesorabile e definitiva, ma ben nota a noi sinologi, è l’ennesima conferma che il cinese è una lingua affascinante, profonda e meravigliosa, ma parimenti ardua, complessa e immensamente frustrante.

L’ulteriore conferma che il cinese per noi stranieri è una lingua che non s’impara mai, ma che si studia per sempre.

 

Per approfondire:


Brothers: La Saga

Yu Hua

Traduzione di Silvia Pozzi

Editore: Feltrinelli







Maggiori informazioni su Yu Hua

Dal sito Treccani


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